
L’importanza di “saper leggere” un testo narrativo
Presupposto fondamentale per scrivere è “saper leggere” un testo.
Ecco, ci siamo. Hai preso a ridere e non riesci più a fermarti.
Bene.
Se leggendo la frase iniziale di questo articolo ti è partita una risata e stai pensando che abbiamo scoperto l’acqua calda, stai sperimentando esattamente cosa sto cercando di dirti.
Ti riporto la frase al primo rigo: presupposto fondamentale per scrivere è aver imparato a saper leggere un testo.
Rileggi ancora una volta.
Perfetto!
Fai attenzione: non ho detto “presupposto fondamentale per scrivere è aver imparato a leggere” (ci mancherebbe), bensì “presupposto fondamentale per scrivere è aver imparato a saper leggere un testo”.
Proprio così, la differenza è tutta qui: “saper leggere un testo” è una cosa tutt’altro che ovvia e scontata.
Cosa vuol dire saper leggere un testo?
Il piacere, il gusto, l’idea o anche soltanto il desiderio di provare a scrivere una storia, nascono prima di tutto dal piacere irrinunciabile che scaturisce dalla lettura e dalla magia che si sprigiona quando gli occhi iniziano a scorrere le righe di una pagina.
Chi decide di cimentarsi nella scrittura narrativa è, nella maggior parte dei casi, un lettore appassionato, che ha letto un bel po’ di libri in vita sua e che, quando possibile, non perde occasione per tuffarsi tra le pagine di un nuovo racconto o di un nuovo romanzo.
Tuttavia, essere un fervido lettore, non necessariamente può voler dire “saper leggere” un testo narrativo.
Ma cosa vuol dire sapere leggere un testo narrativo?
“Saper leggere” un testo significa riuscire ad andare oltre la storia in sé, ovvero squarciare il telo su cui si muovono fatti e personaggi e guardare cosa c’è dietro.
“Saper leggere” un testo vuol dire riuscire ad intrufolarsi nella bottega dello scrittore e scoprire tutti i meccanismi, gli artifici, gli escamotage, le soluzioni tecniche e stilistiche di cui si serve per dare vita alla storia che racconta.
Conoscere e imparare a maneggiare i ferri del mestiere dello scrittore è un presupposto fondamentale per migliorare la tua capacità di scrivere in maniera efficace una storia.
È prerogativa di ogni lettore quindi, saper intercettare gli aspetti più profondi di un testo narrativo.
Leggere un testo narrativo: da dove partire
Ogni volta che si inizia a leggere un testo narrativo, è bene chiedersi: “Come?” e “Che cosa?”.
Questi sono gli interrogativi fondamentali a cui rispondere per comprendere appieno lo stile ed il contenuto di un testo.
In breve: cosa sta cercando di comunicare l’autore attraverso la sua opera?
Che cosa desumiamo noi quando la leggiamo?
In che modo l’autore riesce a “comunicare senza dire”, ovvero a trasmettere un messaggio senza formularlo in maniera diretta ed esplicita?
La risposta a queste domande è una sola: personaggi e trama.
I personaggi e la trama sono elementi propri della narrativa e sono tra loro collegati.
La trama, ovvero lo svolgimento di un’azione, non può esserci se non c’è qualcuno che la viva, dove quel “qualcuno” non è altro che un personaggio letterario o un insieme di personaggi che vivono un’esperienza significativa in quel mondo, grande o piccolo che sia, qual è il testo letterario.
A breve affronteremo in maniera sistematica questi due argomenti assolutamente fondamentali – personaggi e trama – e scopriremo insieme in che modo consentono ad uno scrittore di veicolare un contenuto e al lettore di recepirlo, andando al di là del significato letterale espresso dal testo stesso.
Prima però occorre fare una precisazione doverosa: esistono anche tipologie di scrittura in cui il contenuto profondo del testo è espresso in maniera diretta e immediata da parte dell’autore.
Ciò nonostante, è bene concentrare l’attenzione sul ben più complesso e articolato discorso del “mostrare senza dire”.
Spetta poi a te stabilire cosa, come e quanto dire attraverso la tua opera.
Per il momento partiamo dal fatto che “saper scrivere” presuppone la volontà, da parte di chi scrive, di esprimere qualcosa “tra le righe” e di veicolare, di conseguenza, un messaggio a livello profondo, visivo o allegorico.
Di seguito un esempio molto utile a riguardo.
Un esempio di corpo narrativo
Il breve racconto che riporto di seguito e che ti invito a leggere con grande attenzione, è un esempio perfetto di corpo narrativo complesso e articolato, particolarmente utile per comprendere gli aspetti fin qui affrontati.
Il racconto si intitola I giorni perduti ed è tratto dall’antologia Centottanta racconti di Dino Buzzati, uno dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso.
Fino ad ora abbiamo soltanto accennato ad alcuni aspetti assolutamente fondamentali quali la trama come modalità per dare vita al corpo narrativo, la scelta delle parole più opportune per veicolare significati sottintesi, il principio del “mostrare senza dire” e l’importanza di coinvolgere il lettore.
Vediamo adesso come ciò di cui abbiamo parlato finora, trova espressione concreta nel testo I giorni perduti di Dino Buzzati.
Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.
Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro; che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Si avvicinò all’uomo e gli chiese:
«Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?».
Quello lo guardò e sorrise:
«Ne ho ancora sul camion da buttare. Non sai? Sono i giorni».
«Che giorni?»
«I giorni tuoi.»
«I miei giorni?»
«I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?»
Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella la sua fidanzata che se n’andava per sempre. E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo. C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.
Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk, il fedele mastino che lo attendeva da due anni, ridotto pelle e ossa.
E lui non si sognava di tornare.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco.
Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
«Signore!» gridò Kazirra. «Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.»
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. E l’ombra della notte scendeva.
Questo, come detto prima, è un esempio perfetto di cosa vuol dire lavorare con la trama.
Partiamo da alcune osservazioni di fondo.
I personaggi sono due: il padrone della villa e un “ladro”.
Anche le trame, in un certo senso, sono due: un apparente furto e la scoperta di quanto è stato effettivamente rubato.
In effetti è proprio intorno al tema del “furto” che ruota l’intero racconto, prima in modo apparentemente ovvio e lineare (un tizio che esce da una villa portandosi via una cassa) poi, in maniera sottile, “giocando” sul capovolgimento relativo a chi è realmente il ladro, cosa ha rubato e in che modo lo ha fatto.
A ben vedere il vero ladro è il proprietario della villa, Ernst Kazirra, in quanto ladro di se stesso, dei suoi stessi giorni, che gli sono sfuggiti di mano.
In buona sostanza, ha sacrificato i propri sentimenti e quelli degli altri per dare pieno spazio alle proprie ambizioni di successo e carriera.
Come puoi ben notare le cose rubate, ovvero il contenuto delle casse, non sono beni materiali.
Viceversa è la corsa al raggiungimento dei beni materiali la causa del vero “furto”, ovvero quello dei suoi affetti e dei suoi sentimenti, delle persone e del cane che gli erano affezionati.
Un esempio di cosa vuol dire “saper scegliere le parole”
In che modo avviene questo colpo di scena?
Semplice: attraverso una svolta lessicale e semantica nel bel mezzo della storia, ossia mediante la scelta precisa e accurata delle parole e del loro significato.
Quelle che inizialmente erano “casse” diventano “giorni”: “Scese giù per la scarpata e ne aprì uno”.
Il contrasto di significato viene fuori dal verbo “aprì” (ovviamente riferito alla cassa) accanto al pronome maschile “uno”.
Il racconto, che era partito in tono realistico, si sviluppa adesso in uno stile ascrivibile al cosiddetto “realismo magico”, dove l’elemento “magico” si inserisce in maniera sottile (anche da un punto di vista grammaticale) nello svolgimento della trama.
Essa viene recepita come parte integrante della realtà da parte del protagonista (che ritrova nelle casse i giorni perduti) e, al contempo, dal lettore, che intercetta il significato nascosto del “furto dei giorni”.
Un testo che cattura il lettore
Il lettore viene coinvolto nella storia mediante le scelte compiute dall’autore, tra cui l’utilizzo di un pronome “errato” (ma soltanto a prima vista), come l’ “uno” riferito alle casse, scelto proprio per colpire il lettore ad un livello profondo, subliminale: “Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco”.
L’uso di “qui”, con la sua forza grammaticale di vicinanza, prossimità e immediatezza, sposta irrimediabilmente l’emozione di Kazirra verso la bocca dello stomaco del lettore.
Questo sottile e geniale gioco di spostamenti del significato e tra le parti del discorso è un eccellente esempio di come l’ars rethorica possa diventare uno strumento molto efficace.
Non solo.
Il gioco del ribaltamento dei “furti” è reso inoltre mediante altri due espedienti: il passaggio dal “tu” al “lei” e il ribaltamento della posizione iniziale occupata dai personaggi.
Il signor Kazirra, nella parte iniziale, si rivolge con tono spregiativo e inquisitorio (utilizzando il “tu”) nei confronti dell’uomo che aveva visto uscire da una porticina laterale della sua villa: “Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco”.
Poi, quando si accorge che il ladro non è il suo interlocutore, cambia completamente tono e il lettore lo ritrova, giù nella scarpata, a implorare: “Signore! Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico.”
Kazirra, dal basso, cerca disperatamente di “corrompere” il “signore” offrendogli tutto ciò che ha, ma non è con i beni materiali che può recuperare gli affetti dei giorni perduti.
Mostrare senza dire
Il racconto di Buzzati è un brillante esempio di cosa vuol dire “mostrare senza dire”.
L’autore non ci “dice” nulla.
Anche l’evidente morale che ne possiamo desumere non è espressa in maniera esplicita.
La “vediamo” con i nostri occhi, la “sentiamo” proprio qui, alla bocca dello stomaco, ed è per questo che rimane impressa non soltanto ad un livello razionale ma più profondo.
Il vero significato del racconto viene fuori strada facendo, parallelamente alla progressiva presa di coscienza del protagonista.
Con Kazirra inseguiamo il camion delle casse, ci arrestiamo sul “ciglio” di un burrone e spalanchiamo gli occhi insieme a colui che “guarda”, “apre” e “grida”, quando si accorge che ormai è troppo tardi.
In generale il significato profondo che ogni lettore può rilevare da un testo è tanto più ampio quanto più l’autore è rimasto in disparte, nel dietro le quinte delle sue stesse parole e delle sue opinioni personali, trasformando noi stessi nel protagonista della storia mediante i nostri occhi di lettori, “diretti testimoni” di quello che vede e di quello che sente.
Quanto tutto ciò sia un’attività conscia o inconscia, dipende soltanto da te.
Una lettura può regalarti cose molto preziose.
Può essere un’esperienza che unisce il “piacere” per un testo interessante e ben costruito con il “piacere” della ricerca e della scoperta dei significati nascosti in esso.
Ed è questa una consapevolezza fondamentale che deve maturare chi vuole scrivere.
Riguardo l’argomento affrontato in questo articolo, ovvero l’importanza di “saper leggere” un testo narrativo per poter affrontare in maniera consapevole il lavoro di scrittura, ti consiglio di leggere il libro di Orhan Pamuk Romanzieri ingenui e sentimentali.
Si tratta di un saggio tanto semplice quanto illuminante sulla capacità di un testo narrativo di generare particolari effetti nell’animo dei lettori.
Lo scrittore turco, a tal proposito, distingue tra “lettori ingenui” e “lettori sentimentali”, dove i primi sono talmente immersi nella vicenda narrata da confonderla con la realtà, mentre i secondi sono consapevoli del carattere fittizio e artificioso del testo che stanno leggendo.
La distinzione tra le due diverse tipologie di lettori è utilizzata da Pamuk per scandagliare a fondo il rapporto che intercorre tra l’autore di un’opera e il suo lettore, ed evidenziare l’intimo e impalpabile legame che li tiene insieme.
Davvero molto interessante!
Spero che questo articolo sia stato utile e che possa aiutarti a guardare al lavoro di scrittura in maniera più consapevole.
Se hai domande, dubbi, curiosità riguardo gli argomenti trattati. Se vuoi esprimere la tua opinione o condividere il tuo punto di vista a riguardo, scrivimi.
Mi farebbe davvero piacere potermi confrontare con te!
Buona giornata
Scrivimi