
L’importanza della figura retorica
Quando si parla di figura retorica, la mente torna inevitabilmente ai libri di scuola e al tempo trascorso ad imparare l’analisi del testo.
Similitudine o metafora? Ossimoro? Iperbole? Litote?
Esatto. Ognuna di queste è una figura retorica.
Diversamente dal pensiero comune, le figure retoriche non sono soluzioni linguistiche ad appannaggio esclusivo dei poeti.
Gran parte di esse sono utilizzate nella vita quotidiana da ognuno di noi, tanto nel linguaggio scritto quanto nel linguaggio parlato.
Nella maggior parte dei casi, però, il ricorso ad una figura retorica avviene in maniera del tutto involontaria.
Tuttavia, a mio modesto parere, la figura retorica è per uno scrittore una risorsa espressiva troppo importante per essere utilizzata in maniera inconsapevole.
Da qui la necessità di analizzarle in maniera approfondita per comprendere non soltanto il loro impiego, ma anche il modo più opportuno per utilizzarle all’interno di un racconto o di un romanzo.
Significato letterale e figurato
Prima di parlare in dettaglio di figura retorica, è opportuno distinguere tra significato letterale e figurato di un testo.
Ogni parola, infatti, racchiude in sé due differenti aspetti: significato e significante.
a) il significato, ovvero l’informazione o l’immagine che giunge alla nostra mente quando si legge o si sente una precisa parola.
b) il significante, ovvero la sequenza dei suoni e delle lettere che compongono la parola stessa
Quindi se scrivo libro, questo termine racchiude in sé un significante, rappresentato dalle lettere l-i-b-r-o che costituiscono un sostantivo maschile singolare, e un significato, veicolato dall’immagine di questo oggetto che fa capolino da un ripiano della mia libreria a cui torno con la mente appena leggo o sento la parola stessa.
A sua volta, il significato può essere denotativo o connotativo:
a) denotativo, ossia letterale, universalmente riconosciuto e condiviso
b) connotativo, ovvero traslato, insolito, figurato
Pertanto se scrivo libro posso pensare all’oggetto che fa capolino da un ripiano della mia libreria; in tal caso mi sto rifacendo al significato denotativo del termine.
Al contempo, però, posso pensare al libro come alla sede del sapere e della conoscenza o come la porta di accesso ad infiniti mondi, viaggi rocamboleschi, storie incredibili.
In questo caso sto facendo riferimento ai significati connotativi della parola.
Il significato denotativo è quello che, generalmente, viene utilizzato per informare e descrivere nell’ambito della comunicazione ordinaria.
Il significato connotativo è quello che viene utilizzato per connotare di ulteriori e particolari sfumature semantiche una parola, aumentando così la potenza espressiva della lingua.
Cercando un termine nel dizionario, il primo significato riportato è quello denotativo, a cui seguono tutti quelli connotativi.
L’utilizzo della lingua, nella sua accezione connotativa, dà vita a quello che viene generalmente indicato come linguaggio figurato.
Le principali e più importanti figure retoriche fanno leva proprio sui significati figurati e sullo spostamento di significato da una parola all’altra.
Cosa sono le figure retoriche
La figura retorica è una forma espressiva basata su un’invenzione linguistica che consiste nell’utilizzare il linguaggio in maniera diversa dall’uso ordinario, al fine di veicolare un contenuto in maniera più intensa, precisa ed efficace.
Significati e significanti, nell’ambito di ogni figura retorica, sono combinati in maniera volutamente diversa rispetto all’uso comune, allo scopo di far emergere il senso figurato del linguaggio ed imprime alla comunicazione maggiore enfasi, potenza evocativa ed espressiva.
Come detto precedentemente, le figure retoriche non sono un’esclusiva di poeti e cantori, ma sono molto diffuse anche nel linguaggio comune e nel parlato quotidiano, proprio per la loro capacità di conferire forza e intensità ad un messaggio e per la loro possibilità di trasmettere significati che trascendono il naturale carattere denotativo delle parole.
Volontaria e involontaria, la figura retorica è la soluzione a cui si fa ricorso in maniera più frequente per rendere più efficace la nostra comunicazione.
La figura retorica in prosa
Proprio per la loro particolare capacità comunicativa, le figure retoriche sono uno strumento fondamentale che uno scrittore deve impiegare in maniera consapevole e opportuna se vuole migliorare sempre più la qualità della propria scrittura.
Pertanto è bene studiarle e imparare a riconoscerle, così da potere utilizzarle nella maniera più opportuna e consapevole, essendo esse uno strumento linguistico particolarmente importante.
Pertanto abbi consapevolezza di come utilizzi, nel linguaggio scritto come in quello parlato, le figure retoriche e sfrutta nel migliore dei modi la possibilità di: fornire una visione suggestiva delle cose, dare vita ad immagini impensabili, impreziosire descrizioni, varcare le soglie del mondo interiore dei personaggi.
Come si classificano le figure retoriche
I criteri in base ai quali le figure retoriche possono essere classificate sono davvero tanti, ognuno dei quali dà vita a categorizzazioni molto diverse tra loro.
Di seguito la classificazione più semplice e funzionale per comprendere al meglio alcuni degli artifici linguistici più potenti ed efficaci che la lingua italiana offre e il modo più opportuno per utilizzarli nella nostra scrittura.
Le figure retoriche possono essere classificate in tre principali categorie:
a) figure retoriche di ordine (o sintattiche), fanno riferimento alla posizione che le parole hanno all’interno della frase e alla sua costruzione.
b) figure retoriche di suono (o fonetiche), fanno riferimento all’aspetto fonico-ritmico delle parole.
c) figure retoriche di significato (o semantiche), fanno riferimento alla variazione di significato che le parole possono avere.
Figure retoriche di ordine
Le figure retoriche di ordine (o sintattiche), sono quelle che fanno riferimento alla posizione che le parole hanno all’interno della frase e alla funzione che assumono nella sua costruzione.
La lingua italiana, infatti, è una lingua che permette un posizionamento variabile di parole e complementi nella frase.
Da ciò ne consegue una maggiore o minore linearità e fluidità dei costrutti, passando così dal basilare soggetto > verbo > complemento, a costruzioni linguistiche più articolate.
In effetti, nella lingua italiana, esistono costrutti linguistici semplici e lineari, che assumono nel linguaggio scritto e parlato un carattere comune e ordinario.
In riferimento ad essi, quando si ha necessità di mettere in evidenza un termine all’interno di una proposizione, si può intervenire modificandone la posizione, al fine di metterla in risalto.
Alcune figure retoriche di ordine, particolarmente efficaci in prosa, sono:
a) il climax, una sequenza dove le parole sono posizionate secondo un ordine crescente di intensità.
Es. Penso a Beatrice, la cerco, la sogno, la voglio.
b) l’anticlimax, una sequenza dove le parole sono posizionate secondo un ordine decrescente di intensità.
Es. Vidi i miei amici andare via, rimpicciolire piano piano in lontananza, fino a scomparire.
c) l’enumerazione (o accumulazione), ovvero un elenco di cose.
Es. Partì per le vacanze carico di borse, borsette, pacchettini, buste, sacchetti, il berretto di sempre e nuovi occhiali da sole.
d) il chiasmo, ovvero l’accostamento che emerge tra due parole iniziali posti in una data sequenza (sintattica o di significato) e altre due parole posizionate nell’ordine inverso.
Es. Anna è la prima, l’ultima e Paola.
Alcune figure retoriche di ordine potrebbero determinare frasi, dal punto di vista sintattico, poco corrette e quindi poco adatte per essere utilizzate in prosa.
Tuttavia, poiché sono frequenti nel linguaggio parlato di tutti i giorni, possono essere inseriti con successo nei dialoghi di un testo, sia per meglio caratterizzare un personaggio, sia per rompere ma monotonia sintattica di una pagina.
Le figure retoriche di ordine che assolvono questa funzione sono:
a) l’anafora, la ripetizione di parole uguali all’inizio di proposizioni consecutive.
Es. Ascoltami, per favore. Ascoltami, non essere cinico!
b) l’anastrofe, l’anticipazione o la posposizione di un termine della frase rispetto all’abituale struttura sintattica.
Es. Mai più voglio ascoltarti, mai più!
c) l’epifora, la ripetizione di parole uguali alla fine di frasi consecutive.
Es. Come mi piacerebbe averti qui, ora. Quanti baci ti darei se fossi qui, ora.
d) l’anacoluto, una frase in cui la concordanza sintattica tra le parti è infranta. Si tratta in tutto e per tutto di una frase sospesa, ossia una frase che inizia in un modo ma che poi finisce in un altro. È una costruzione linguistica propria del linguaggio parlato, anche se errata da un punto di vista lessicale.
Es. Voi giovani, si sa, dobbiamo fare tutto noi adulti per mostrarvi le cose importanti della vita.
e) lo zeugma, il legame di un verbo a due o più elementi di una proposizione che richiederebbero invece ognuno un preciso verbo.
Es. Guarda come tenere il plettro tra le dita e come arpeggiare nel modo migliore.
f) l’iperbato, la separazione di due termini che dovrebbero sintatticamente rimanere vicini per inserire tra essi altre parole di una frase.
Es. Potresti, se non ti porta via troppo tempo, darmi uno strappo in libreria?
g) l’ellissi, l’eliminazione dal testo di parole o passaggi sintattici che possono essere desunti dal contesto intuitivamente.
Es. Vorrei che mi dicessi come fare. Come affrontare l’esame e superarlo.
Le figure retoriche di suono
Le figure retoriche di suono (o fonetiche) sono quelle che fanno riferimento alla parte fonetica delle parole, ovvero il loro suono, nonché il ritmo che conferiscono alla frase quando vengono pronunciate.
In generale sono quelle meno adatte da utilizzare in un testo in prosa in quanto tendono a riprodurre notevoli evidenze sonore all’interno di un periodo.
Queste evidenze sonore, in poesia, sono non soltanto tollerate ma, in molti casi, finanche volute e ricercate.
In prosa, invece, la regola è quella di produrre frasi scorrevoli dove non ci siano ricorrenze fonetiche tra i vari termini, poiché queste ricorrenze sarebbero percepiti come vere e proprie dissonanze che rallentano o interrompono il discorso.
A tal proposito, in prosa sarebbe opportuno evitare figure retoriche di suono quali:
a) la rima, identità di suono tra le lettere finali di due parole vicine o consecutive.
Es. Le guardò dolcemente le labbra e istintivamente la baciò.
b) l’allitterazione, ripetizione di uguali suoni all’interno o all’inizio di termini consecutivi.
Es. O Tito Tazio, tiranno, tu stesso ti attirasti atrocità tanto tremende! Si tratta di un celebre esametro tratto dagli Annali di Ennio che, per l’evidente ridondanza della lettera “t” e per il ritmo particolarmente pronunciato che impone, sarebbe semplicemente inammissibile in un testo in prosa.
c) la paranomasia, accostamento di parole affini o uguali nella grafia, ma dal significato completamente diverso.
Es. Chiudi la porta e porta quella tua brutta faccia fuori da questa casa.
Più sottili e, pertanto, meno insidiose, sono:
a) la consonanza, dove la parte di finale di due termini vicini o consecutivi è uguale per le consonanti contenute in essa.
Es. Era per il guasto al mio nuovo girarrosto che telefonai a questo tizio che giunse a casa lesto.
b) l’assonanza, dove la parte finale di due termini vicini o consecutivi è uguale per le vocali contenute in essa.
Es. Mangiavo il cacio che mi aveva dato.
In alcuni tipi di narrazione, può essere utile:
– l’onomatopea, ovvero la fedele riproduzione di un verso, un rumore, un suono.
Ne sono un esempio i suoni e i rumori ricreati in lettere all’interno dei fumetti (splash, crash) e i versi degli animali (miao miao, pio pio) presenti di solito nei libri per bambini.
In prosa, più che le onomatopee, è preferibile ricorrere alle parole onomatopeiche, ovvero quelle parole dotate di senso compiuto che rievocano un verso, un rumore, un suono.
A tal proposito, infatti, i testi in prosa ritroviamo boati, nitriti, squittii, ululati.
Le figure retoriche di significato
Le figure retoriche di significato (o semantiche) sono quelle che fanno riferimento al significato delle parole, all’acquisizione di una o molteplici accezioni connotative o finanche il trasferimento di significato da una parola all’altra nell’ambito della medesima frase.
Questo tipo di figure retoriche sono senz’altro quelle più stimolanti, tanto in poesia quanto in prosa, poiché permettono di lavorare sulle parole ad un livello semantico molto profondo e impreziosire un contenuto con infinite sfumature.
Come molte delle altre già mostrate, anche queste sono generalmente utilizzate nel linguaggio parlato in maniera spontanea.
Per la loro potenza espressiva, oltre che per essere parte del linguaggio comune, ognuna di queste figure può essere utilizzata in prosa.
Le principali figure retoriche di significato sono:
a) l’ossimoro, l’accostamento in un’unica frase di due parole dal senso opposto.
Es. Mi sentivo più solo che mai nel bel mezzo di quel silenzio assordante.
b) l’antitesi, il contrasto che emerge dalla contrapposizione di due espressioni o termini dal senso opposto.
Es. Mi piacerebbe possedere tutto ma non ho niente.
L’antitesi è meno netta e decisa rispetto all’ossimoro.
c) l’iperbole, è una frase che esprime un’esagerazione, sia in senso accrescitivo che diminutivo.
Es. Per pranzo ti preparo due spaghetti. / Ti ho sognata un miliardo di volte!
d) l’antonomasia, è l’utilizzo del nome proprio di una persona importante come nome comune per dire che un individuo ha quelle stesse qualità o caratteristiche.
Es. Il fratello di Claudia è un piccolo Sherlock Holmes!
e) paralessi (o preterizione), consiste nel fare finta di non voler parlare di qualcosa di cui si sta già parlando.
Es. Non per farti i conti in tasca, ma penso che dovresti comprare una casa più piccola.
f) litote, è l’affermazione di un concetto mediante la negazione del suo contrario.
Es. Giulio non mi è simpatico!
g) ironia, l’affermazione del contrario di quanto si pensa mediante ironia o sarcasmo.
Es. Un altro quattro in matematica, complimenti!
h) eufemismo, una perifrasi impiegata per smorzare e alleggerire un significato netto, immediato o volgare.
Es. Faceva il mestiere più antico del mondo.
i) perifrasi, l’impiego di un giro di parole per esprimere quanto non si vuole o non si riesce ad esprimere in maniera diretta e chiara.
Es. Era venuto il momento in cui il sole allunga le ombre sul selciato e il mondo intorno si prepara alla quiete della sera.
l) metonimia, la sostituzione di una parola con un’altra che ha con la prima affinità logica.
Ad esempio l’autore per l’opera, il concreto per l’astratto, il contenente per il contenuto, il produttore per il prodotto, l’effetto per la causa, o viceversa.
Es. Mario è davvero una buona forchetta!
Es. Bevo un altro bicchiere e poi vado a dormire!
m) sineddoche, la sostituzione di una parola che con la prima un rapporto di tipo quantitativo.
Ad esempio il singolare per il plurale, il genere per la specie, la parte per il tutto, e viceversa.
Es. Il francese è molto più dolce e musicale dell’inglese.
n) sinestesia, l’accostamento di due parole, all’interno di una medesima espressione, afferenti ad ambiti sensoriali diversi.
Es. Per farsi notare, Marta infilò un abito chiassoso che nemmeno le piaceva.
o) Similitudine, ossia una comparazione tra due espressioni o due parole, particolarmente efficace per impreziosire le descrizioni.
Es. Se ne stava da solo come un cane.
Es. Il sole sembrava un disco di luce poggiato sul mare al tramonto
p) metafora, consiste nel rapportare due parole tra loro somiglianti o anche sostituirne una con un’altra, evitando di inserire i nessi logici della comparazione.
Es. Sei un leone!
Es. Siamo giunti al cuore del paese.
Tanto ci sarebbe ancora da aggiungere riguardo l’utilizzo delle figure retoriche, come tantissimi sono gli esempi che si potrebbero fare rileggendo i racconti e i romanzi dei grandi scrittori.
Questo breve articolo ha il solo scopo di mostrare quanto l’uso di ogni figura retorica sia importante e quanto sia importante per un narratore non soltanto conoscerle, ma anche sapere il modo più opportuno per utilizzarle al meglio.
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