È solo un’altra occasione mancata, Amoresano!

Amoresano napoli mon amour

“Guardai le persone nel vagone, poi, una volta sceso, quelle in strada. Aspettavano il verde del semaforo e mi sembravano tutte migliori di me, perché loro avevano un lavoro ed io invece no. Perché tutti avevano un posto in questo mondo. Tutti eccetto me.”

È con queste parole, a pagina diciassette, che Alessio Forgione esprime la weltanschauung del protagonista del suo romanzo d’esordio, un ventinovenne senza lavoro con un debole per i cocktail e le immersioni;  un amore “innato” per il Napoli, uno in corso per Nina, napoletana di buona famiglia con la passione per lo spettacolo e per l’Inghilterra; uno non corrisposto per la propria città.

Napoli mon amour (NN Editore) è l’esordio di un autore dalla scrittura essenziale e molto efficace, messa al servizio di una trama che si dipana lungo una sorta di labirinto emozionale che il protagonista percorre all’interno della dimensione urbana.

Città che diviene, man mano che la narrazione scorre, geografia metropolitana degli affetti.

Una Napoli vissuta alla stregua di una madre che ricaccia lontano i propri figli, ma dalla quale si ritorna sempre e comunque.

Una Napoli che non si ha il coraggio di abbandonare una volta per tutte.

“Per strada la gente parlava, chi con altre persone, chi al telefono. Alcuni sedevano nelle piazze, altri al tavolino di un bar. Continuai a camminare, da solo, e mi sembrò di non aver fatto altro, nella vita, se non camminare da solo. Mi ritrovai davanti al mare e nell’impossibilità di proseguire mi sentii braccato. Era lì, davanti a me, fermo e immobile ed enorme. Pensai che a molte persone le città di mare davano l’idea di infinito, perché gli offrivano, in una maniera piuttosto semplice ed elementare, la possibilità della fuga. A me no, non avevo questa sensazione. Pensai che avevo camminato e che la città era finita e che non m’era successo niente e che non c’era la possibilità di andare oltre e poi mi ricordai che in nave mi piaceva guardare il mare, perché mi piaceva immaginare che oltre l’orizzonte, ovunque fossi, ci fosse Napoli.”

Amoresano – questo il nome del protagonista – trascorre il proprio tempo in cerca di un lavoro, districandosi tra offerte improbabibili e l’umiliazione che ogni singolo giorno riserva a chi, come lui, è costretto a fare i conti con la propria condizione di disoccupato senza speranza.

Con lui Russo, l’amico di sempre, con cui condivide la medesima fame di vivere e la medesima frustrazione per una condizione che mostra i segni non soltanto nei suoi risvolti economici e pratici.

La mancanza di un lavoro, infatti, si configura sempre più come divieto d’accesso alla vita sociale e alla piena realizzazione emotiva ed esistenziale.

E Amoresano è uno che i conti li fa per davvero, con il mondo intorno, con i propri affetti e con le proprie tasche, in una sequenza costante e avvilente di sottrazioni e divisioni che solo chi vede esaurirsi giorno dopo giorno e inesorabilmente i pochi risparmi messi da parte può sapere.

Il tutto intervallato dall’umiliazione di doversi aggrappare irrimediabilmente alle finanze di famiglia per riuscire a tirare avanti.

“L’Amoresano pensiero” oscilla tra l’idea di farla finita con le ragazze, così da avere una spesa in meno da dover sostenere, a quella di andare via da Napoli; dalla rassicurante, seppur remota, possibilità di salvezza offerta da un concorso pubblico all’amarezza di ritrovarsi a vivere una vita profondamente diversa da quella immaginata.

Un sogno, la scrittura:

“Scrissi di noi, di me e Nina, del lavoro che non c’era, del lavoro che scappava, della città che non mi voleva, e che forse mi odiava, di me, che mi odiavo anch’io.
Scrissi immerso nel buio, con il mondo che esisteva fin dove arrivava la luce bianca dello schermo e mentre scrivevo non capii cosa stessi scrivendo, ma capii che i racconti che avevo scritto fino a quel momento non mi piacevano perché erano pilotati da una persona sempre pronta, per ogni evenienza, a schiacciare il pedale del freno. Perché erano scritti da una persona che, per un primo appuntamento, non avrebbe scelto le scarpe migliori, quelle che si abbinavano meglio al resto dei suoi vestiti, ma le cose più costose che possedeva.”

Vorrebbe scrivere, Amoresano.

Fa a pezzi con il pensiero un romanzo di Nick Cave mentre sente sempre più Ferito a morte di Raffaele La Capria come qualcosa di profondamente autentico e che rasenta la perfezione.

E Amoresano riesce ad incontrarlo La Capria, durante una toccata e fuga a Roma.

C’era anche Nina quella volta, piacevolmente distratta dal luccichio dello showbiz; troppo assorta per riuscire ad avvertire il tanfo grigio della precarietà.

Lei, ventunenne studentessa di filosofia, con un biglietto per l’Erasmus da staccare e la leggerezza di chi ha tanti sogni per la testa.

Sogni che non hanno fatto ancora i conti con la realtà.

E poi c’è lei, forse la vera protagonista di un romanzo che, in alcuni passaggi, assume l’intonazione di un vero e proprio romanzo generazionale: l’occasione mancata.

Si avverte, leggendo dell’incontro tra Amoresano e Raffaele La Capria, un velo di tristezza per la gioia esigua che Alessio Forgione riconosce al suo protagonista: l’approvazione da parte del proprio modello di riferimento.

La bella giornata di Amoresano viene fuori nei giorni al mare durante gli anni dell’infanzia, in un’immagine di gioia disattesa che egli è convinto di poter rivivere attraverso la relazione con Nina.

Quell’abitudine all’ozio, a dilatare oltremodo la bella giornata dei personaggi di Raffaele La Capria, in Alessio Forgione sembra essere ecclissata dalla sensazione dell’inesorabile avvento di una disfatta, che corrompe ogni possibile desiderio e tentativo di leggerezza e felicità.

Amoresano si sforza di celare la propria condizione per lasciarsi prendere dalla grande occasione.

Ma è soltanto un momento, non più lungo di quello della coincidenza fra treni che viaggiano in direzioni diverse.

L’uno sui binari di una dimensione romantica e ideale, l’altro su quelli di una visione concreta e pratica.

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