
Nell’introduzione all’antologia Libro dei sogni, il celebre autore argentino Jorge Luis Borges sostiene – senza pretendere che sia vera – “la tesi, pericolosamente affascinante, che i sogni costituiscono il più antico e certo non il meno complesso dei generi letterari”.
A ben vedere il sogno lo si potrebbe considerare proprio una tra le più spontanee e vivide espressioni della creatività letteraria, una creatività letteraria che non ha ancora percezione e consapevolezza di essere tale.
In questo modo se ogni essere umano sognando dà vita ad una storia, il sogno, in quanto narrazione, diviene uno dei canali attraverso cui la creatività trova la sua massima espressione.
Catalizzatrice di emozioni, atto creativo spontaneo, la narrazione onirica può assumere i caratteri più disparati: talvolta compiuta e nitida, altre volte frammentaria; in altri casi ancora oscura e indefinita.
Non solo.
Al pari di ogni opera letteraria che si rispetti, anche i sogni possono essere oggetto di interpretazione e analisi.
Ecco che allora possono assumere una valenza profetica o svelare qualcosa di intimo e profondo riguardo la natura di chi sogna.
Consapevolezza, questa, presente già nelle narrazioni più antiche: dalla babilonese Epopea di Gilgamesh alla Bibbia, dai poemi omerici ai poemi indiani e cinesi, a dimostrazione del fatto che gli autori di ogni tempo e luogo non hanno mai rinunciato alla potenza evocatrice che sgorga dalla fantasia onirica.
Creatività letteraria tra profezie e anticipazioni
Ma che cos’è il sogno?
Qual è il suo significato?
Il sogno – questa la prima risposta data dagli esseri umani – è una profezia, un’anticipazione di ciò che sarà, un mezzo attraverso il quale poter conoscere in anticipo il destino o scorgere le intenzioni della divinità.
Questo il motivo per cui nei testi più antichi i sogni profetici abbondano (il Dio della Bibbia annuncia che Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore,/ in visione a lui mi rivelerò,/ in sogno parlerò con lui (Numeri, 12,6) e i profeti riescono a cogliere il senso nascosto dei sogni; come Daniele che interpreta quelli del re babilonese Nabucodonosor.
Dal punto di vista della creatività letteraria, il carattere anticipatorio e profetico dei sogni risulta essere un espediente narrativo particolarmente efficace.
Quando in Plutarco o in Shakespeare leggiamo che la moglie di Cesare, turbata da un sogno, tenta senza successo di impedire al marito di recarsi in senato la mattina delle Idi di marzo, possiamo pensare – conoscendo il finale – che si tratti di una facile profezia.
Tuttavia, all’interno dell’azione drammatica, questo tipo di anticipazione serve a connotare il senso dell’ineluttabile destino.
Ragion per cui tanti autori non hanno resistito alla tentazione di inserire un sogno profetico all’interno delle loro opere.
Sogni come rivelazione
In periodo romantico, a cavallo tra Settecento e Ottocento, il sogno, rispetto alla ragione, è considerato la fonte di una sorgente più profonda da cui attingere.
Autori come Novalis in Enrico di Ofterdirgen, e Gérard de Nerval, in modo particolare in Aurelia, mostrano come soltanto nel sogno è possibile tendere a quella verità che invano si ricerca nella vita “reale”.
E Coleridge – quasi a sottolineare la consonanza tra sogno e creatività letteraria – sosteneva di aver sognato quella che è la sua opera più importante, il frammento lirico di Kubla Khan.
In accezione diversa, l’idea che la fantasia onirica possa veicolare una verità profonda – altrimenti confinata agli ambiti inesplorati dell’inconscio – è stata ripresa da Sigmund Freud.
L’Interpretazione dei sogni, oltre ad essere un’opera di per sé appassionante, è stata fonte di suggestione per tantissimi autori del Novecento che hanno fatto proprie le tesi della psicoanalisi.
Autori che hanno utilizzato nei loro testi il sogno come espediente rivelatorio della personalità e della natura profonda dei personaggi.
Creatività letteraria: sogni tra incubo e orrore
Avendo citato autori e testi tanto celebri, sarebbe doveroso approfondire il tema del sogno “letterario” con riferimenti ad Horace Walpole, inventore” del romanzo gotico, o al grande Ernst Theodor Amadeus Hoffman, esponente del romanticismo tedesco più sfrenato.
Come non meno importanti sono i film della serie Nightmare infestati dal terribile Freddy Kruger, divenuto negli anni Ottanta uno dei miti degli adolescenti.
Al di là dei facili effetti granguignoleschi e della ripetitività dello schema su cui di volta in volta si sviluppa la trama (inevitabile se si considera che si tratta di una produzione che conta nove film e un serial televisivo) l’idea di base è straordinariamente efficace e sfrutta sino in fondo le potenzialità narrative insite nell’idea stessa di visione mostruosa.
Il terribile Freddy Kruger esiste soltanto negli incubi delle sue vittime, vittime che non corrono alcun pericolo finché sono nel tranquillizzante stato di veglia.
Vittime che, non appena si addormentano, rischiano di finire nelle grinfie del mostro.
Naturalmente (altrimenti non si spiegherebbe l’alta tensione) i ragazzi uccisi da Freddy nel sonno non rivedranno mai più la luce del giorno.
La potenza narrativa di Nightmare risiede proprio nell’autonomia che acquista il sogno (o meglio, l’incubo), trasferito in una dimensione parallela alla vita ma similmente reale e pericolosa.
Sogni simmetrici
L’idea del sogno come realtà parallela non è certo una novità introdotta dagli autori di Nightmare.
H.G. Wells, agli inizi del Novecento, descriveva in un famosissimo racconto (Il sogno di Armageddon) il sogno “prolungato” di un avvocato inglese che, nel bel mezzo della routine quotidiana, inizia a sognare, notte dopo notte, di essere, in un futuro lontano, un leader politico che per amore di una donna stupenda lascia il suo partito nelle mani di un pericoloso impostore.
Quando nel sogno il protagonista si addormenta, si risveglia in quello che dovrebbe essere il mondo reale, che tuttavia gli appare grigio e privo di senso.
Intanto, nel sogno, l’impostore ha scatenato la guerra mondiale (l’Armageddon, ovvero lo scontro finale che secondo l’Apocalisse si svolgerà tra le forze del bene e le forze del male), nella quale perderanno la vita prima la donna amata e poi lo stesso protagonista che, tornato per sempre nel mondo “reale”, si sentirà perso senza la sua “vita” di sogno.
Questa simmetria tra sogno e realtà (che è anche l’idea alla base del romanzo I fiori blu Raymond Queneau) è presente, in una versione particolarmente elegante, in quella miriade di storie che costituiscono Le mille e una notte.
Al Cairo, un uomo ricco ma troppo generoso è costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere.
Lavorò tanto che una sera il sonno lo colse sotto il fico del suo giardino e in sogno vide un uomo bagnato zuppo che si tolse di bocca una moneta d’oro e disse:
“La tua fortuna è in Persia, a Isfahàn: va’ a cercarla”.
L’uomo non dubita della veridicità di quanto sognato e, dopo aver affrontato e superato mille pericoli, raggiunge Isfahàn.
Ma appena arrivato viene scambiato per un furfante e quasi ucciso a bastonate dalle guardie.
Due giorni dopo riprese i sensi in carcere.
Il capitano lo mandò a prendere e disse:
“Chi sei e da dove vieni?”
L’altro affermò:
“Sono della famosa città del Cairo e mi chiamo Mohamed El Magrebi”.
Il capitano gli chiese:
“Che cosa ti ha condotto in Persia?”
L’altro optò per la verità e disse:
“Un uomo mi ordinò in sogno di venire a Isfahàn perché lì stava la mia fortuna.
Ora sono a Isfahàn e vedo che questa fortuna che mi era stata promessa dev’essere il mucchio di bastonate che tanto generosamente mi avete affibbiato”.
A tali parole, il capitano rise tanto da scoprire i denti del giudizio e finì per dirgli:
“Uomo sfortunato e credulone, ho sognato tre volte d’una casa al Cairo in fondo alla quale c’è un giardino e nel giardino una meridiana e oltre la meridiana un fico e oltre il fico una fontana e sotto la fontana un tesoro.
Non ho dato il minimo credito a questa bugia.
Tu invece, frutto d’una mula e d’un demonio, sei andato errando di città in città fidandoti solo d’un sogno.
Che non ti riveda mai più a Isfhàn.
Prendi queste monete e vattene”.
L’uomo le prese e tornò in patria.
Sotto la fontana del suo giardino (che era quella del sogno del capitano) dissotterrò il tesoro.
Così Dio gli diede la benedizione e lo ricompensò e lo esaltò.
Dio è il Generoso, l’Occulto.”
Il primo sogno, dunque, serve solo a mettere in contatto il protagonista con un’altra persona che ha fatto un sogno simile e simmetrico, di cui però solo il primo personaggio coglie il vero significato.
Potenzialità, quelle legate alla narrazione onirica, che oggi come in passato offrono agli autori escamotage narrativi davvero incredibili, capaci di rendere una storia assolutamente unica e sensazionale.
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