
Per uno scrittore il lavoro di revisione è un passaggio fondamentale del processo creativo perché gli permette di colmare la distanza fra ciò che egli sente e vuole esprimere e ciò che si concretizza nella forma testo.
La revisione, infatti, consente all’autore di rendere chiaro e inequivocabile a se stesso (e agli altri) ciò che desidera veicolare e, allo stesso tempo, di scegliere quella che è la versione testuale ottimale affinché ciò avvenga.
Qualunque sia il contenuto di una pagina, l’esigenza di effettuare una revisione deriva dalla necessità di ottenere la maggiore aderenza e corrispondenza possibile fra quanto risiede nell’immaginazione e quanto traspare dalla forma testo, cosa davvero difficile da raggiungere alla prima stesura.
Nonostante ciò, l’autore può decidere di ricorrere a tecniche che non prevedono il lavoro di revisione.
È quanto avviene nella “scrittura automatica” e nella “prosa spontanea”.
I motivi per cui un autore sceglie di scrivere un testo avvalendosi di queste tecniche narrative (e quindi di “non ritornare sul brano e risistemarlo”) possono essere vari.
Generalmente la scelta di non realizzare la revisione del testo è dettata dalla necessità di poter contare su una libertà espressiva e stilistica pressoché totale, che permetta di: raggiungere la massima autonomia combinatoria nel linguaggio; generare immagini diverse o di intensità particolare; infrangere un ordine precostituito per crearne uno nuovo; riprodurre stati d’animo quali l’allucinazione o il delirio; sollecitare l’autonomia di fantasia e linguaggio; prediligere un’impostazione del discorso basata sulla libera associazione di idee e immagini.
Riflessioni fondamentali sulla scrittura automatica e sulla prosa spontanea si devono a due grandi autori del Novecento: André Breton e Jack Kerouac.
Come è facile intuire, in fase di scrittura subentrano l’inconscio e l’immaginario.
Non sempre, però, vi si attinge allo stesso modo, né essi intervengono con le stesse modalità; neppure collaborano sempre e in eguale misura con le altre facoltà che prendono parte al processo creativo.
A volte l’autore può avere la necessità di scrivere frequentando l’immaginazione in maniera del tutto particolare.
Un rapporto, quello con l’immaginazione, che susciti condizioni percettive peculiari: ad esempio, un’intensa consapevolezza che amplia la percezione; oppure uno stato di ebbrezza, che lascia emergere e agire con la massima libertà l’inconscio.
Il surrealismo e la scrittura automatica
Il ricorso ad un particolare stato di coscienza in cui si fondessero gli opposti, come realtà e immaginazione, conscio e inconscio, oggettività e soggettività, percezione e rappresentazione, era di interesse prioritario per i surrealisti, ovvero quegli autori che a partire dalla metà degli anni Venti del Novecento presero parte al movimento di avanguardia letteraria fondato da André Breton.
I surrealisti individuarono un modus operandi che prevedeva il ricorso alla scrittura automatica, soluzione che permetteva non solo di riprodurre da un punto di vista formale un determinato stato di coscienza, ma anche di suscitarlo.
Scriveva Breton nel Messaggio automatico (1933):
“La scrittura automatica, praticata con un certo fervore, porta direttamente all’allucinazione visiva”.
Mentre, nel Manifesto del surrealismo (1924), la tecnica della scrittura automatica veniva così sintetizzata:
“Fatevi portare di che scrivere, dopo esservi sistemato nel luogo che vi sembra più favorevole alla concentrazione del vostro spirito in se stesso.
Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, che potete.
Fate astrazione dal vostro genio, dalle vostre doti e da quelle di tutti gli altri.
Ripetetevi che la letteratura è una delle strade più tristi che conducano a tutto.
Scrivete rapidamente senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere.
La prima frase verrà da sola, tanto è vero che ad ogni secondo c’è una frase estranea al nostro pensiero cosciente, che chiede solo di esternarsi.
È più difficile pronunciarsi sul caso della frase successiva: senza dubbio, essa partecipa insieme della nostra attività cosciente e dell’altra, se si ammette che il fatto di avere scritto la prima implichi un minimo di percezione.
Poco vi deve importare, del resto: sta proprio in questo, per la massima parte, l’interesse del gioco surrealista.
In ogni caso, la punteggiatura s’oppone indubbiamente alla continuità assoluta di quel flusso che si occupa, sebbene sembri tanto necessaria come la distribuzione dei nodi su una corda vibrante.
Continuate quanto vi piacerà.
Confidate nel carattere inesauribile del mormorio.
Se il silenzio minaccia di prendere piede, solo che abbiate commesso uno sbaglio: uno sbaglio, potremmo dire, di inattenzione, interrompete senza esitare una riga troppo chiara.
Di seguito alla parola la cui origine vi sembra sospetta, mettete una lettera qualsiasi, per esempio la lettera l, e tornate a introdurre l’arbitrario imponendo questa lettera per iniziale alla parola che seguirà.”
Kerouac e la prosa spontanea
Simile alla scrittura automatica surrealista, ma non identica, è la tecnica della prosa spontanea teorizzata e utilizzata da Jack Kerouac e adottata dalla maggior parte degli autori della beat generation.
Kerouac indicava un semplice ma efficacissimo escamotage: trascrivere il flusso del discorso soggettivo in relazione a un determinato oggetto presente al momento dello scrivere nella realtà o nella memoria.
Nel breve quanto prezioso articolo Fondamenti della prosa spontanea (1958), l’autore di On the road illustrava i fondamenti di questa tecnica.
Per applicare questo metodo, faceva notare Kerouac, è necessario che lo scrittore si lasci andare al flusso del discorso interiore, lasciando emergere l’inconscio (“Se possibile scrivi ‘senza coscienza’, in semi-trance”).
L’autore deve avanzare sull’onda della libera associazione (“segui invece la libera deviazione – associazione – della mente dentro i mari di pensiero illimitati, (…) nuotando nel mare dell’inglese se (…) – scrivi in profondità, pesca in profondità quanto ti pare”).
Deve procedere senza interruzioni, rapidamente, con eccitazione, “coi crampi da penna o battitura”, accumulando parole e frasi, “in accordo con il grande ritmo del pensiero (scrivi nuotando verso il largo nel mare della lingua fino alla liberazione e allo sfinimento estremi)”.
Deve ridurre la punteggiatura al minimo essenziale, facendo ricorso ad un “vigoroso trattino” per indicare le pause del “respiro retorico” che separano i lunghi periodi su cui si basa la composizione.
Deve strutturare il testo “in un movimento a ventaglio sul soggetto, come su una roccia di fiume, così la mente che scorre sul gioiello centrale (facci scorrere sopra la mente, una sola volta) dovrà arrivare al fulcro.”
Anche nell’ambito della prosa spontanea, come nella scrittura automatica, il lavoro di revisione è praticamente assente.
Come evidenziava Kerouac:
Nessuna revisione (tranne gli errori razionali, come i nomi o gli inserimenti calcolati nell’atto non di scrivere bensì di inserire) (…).
Mai ripensarci per “migliorare” o mettere ordine nelle impressioni, poiché la scrittura migliore è sempre quella più personale e dolorosa, strappata, estorta alla calda culla protettiva della mente – attingi a te stesso il canto di te stesso, soffia! – Ora! – il tuo metodo è l’unico metodo – ‘buono’- o ‘cattivo’- sempre onesto (“comico”), spontaneo, interessante per la sua qualità di “confessione”, perché non “di mestiere”. Il mestiere è mestiere.
D’altro canto Jack Kerouac s’ispirava apertamente alla musica jazz.
In modo particolare alle progressioni, alle innovative elaborazioni armoniche e ai tempi spiccatamente veloci del bebop, ricreando flussi linguistici formalmente simili ai flussi musicali delle improvvisazioni presenti in questo stile.
Nondimeno tali improvvisazioni erano possibili soltanto grazie ad una tecnica musicale consolidata.
Era proprio la perfezione e la padronanza delle soluzioni tecniche, infatti, a consentire il superamento della “tecnica” medesima.
E lo stesso valeva, nelle pagine migliori, per la prosa spontanea di Kerouac.
Infatti, la tecnica opera anche nelle pratiche letterarie che non richiedono la revisione, perché è evidente che l’assenza di revisione non significa assolutamente assenza di tecnica letteraria.
La scrittura automatica e la prosa spontanea, qualunque siano i contesti in cui sono applicate e i fini per cui vengono utilizzate, consentono sempre di instaurare un rapporto diretto con l’inconscio e con l’immaginazione.
Praticarle può essere un utile esercizio: lo scrittore impara a lasciarsi andare, approfondisce la conoscenza di come opera in questi casi il linguaggio, produce forme spesso molto suggestive ed efficaci.
In breve: affina gli strumenti del proprio mestiere e le proprie capacità narrative.
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