
Cosa vuol dire ambientare una scena
Decidere dove e come ambientare una scena non vuol dire affrontare un aspetto di carattere meramente scenografico, più o meno trascurabile.
Quella di ambientare una scena non è la semplice definizione dello sfondo entro cui collocare le vicende di una storia.
Tutt’altro.
Stabilire dove e come ambientare una scena è un fattore assolutamente centrale della narrazione.
Delineare il contesto entro cui calare personaggi ed eventi non è meno importante di tutti gli altri aspetti che un narratore deve curare con attenzione quando si appresta a scrivere una storia.
Per centralità e rilevanza, oltre che per la capacità di incidere, impattare e veicolare significati impliciti e significati espliciti, il come e il dove ambientare una scena è importante tanto quanto definire in dettaglio ogni singolo tratto di un personaggio.
In tale accezione, lo scenario entro cui si svolgono i fatti può essere considerato alla stregua di un vero e proprio “personaggio occulto”.
Pertanto merita tutta l’attenzione del caso.
Per cercare di capire che cosa significa ambientare una scena nel modo giusto, ho messo a confronto due diversi brani.
I due frammenti che seguono, tratti dall’Ulisse di James Joyce, sono un esempio particolarmente utile ed efficace per capire in che modo l’ambientazione di una scena è funzionale a connotare di significati precisi la scena stessa.
E non solo.
Partiamo da Sabbie mobili:
“La sabbia granitica era sparita da sotto i suoi piedi. Le sue scarpe calpestarono ancora un’umida crosciante amalgama petrosa, taglienti gusci di conchiglia, stridule ghiaie, che percote le ghiaie innumerevoli, legno crivellato, dal tarlo marino, perduta Armada.
Mefitici banchi di sabbia attendevano di risucchiargli le calpestanti suole, esalando tanfate di fogna… una bottiglia di birra si rizzava, infitta fino alla cintola, nell’impasto grumoso della sabbia. Una sentinella: isola della terribile sete. Cerchi di botte rotti sulla spiaggia; dalla parte di terra un dedalo di oscure reti scaltre; ancor più lontano le porte posteriori scarabocchiate di gesso, e su un ripiano più alto del litorale una corda per il bucato con due camicie crocifisse.”
Il secondo frammento è tratto da Chiacchiere al tramonto:
“La sera estiva aveva cominciato ad avvolgere il mondo nel suo misterioso amplesso. Lontano, laggiù a occidente, il sole tramontava e l’ultimo barlume del giorno che ahimè fugge veloce indugiava amorosamente sul mare e sulla spiaggia, sul superbo promontorio del nostro caro vecchio Howth, fedele guardiano come sempre delle acque della baia, sopra le rocce coperte d’alghe del litorale di Sandymount e, ultima, ma non meno importante, sulla tranquilla chiesetta, da cui, di quando in quando, usciva a fiotti nella pace circostante una voce di preghiera per colei che è nel suo immacolato fulgore un faro sempiterno per il cuore umano sbattuto dalle tempeste, Maria, stella del mare.
Le tre amiche stavano sedute sulle rocce, a godersi, lo spettacolo della sera e l’aria fresca ma non troppo frizzante.
Più e più volte si erano trovate a venir là in quel recesso preferito per fare due chiacchiere in pace accanto alle onde scintillanti e scambiarsi innocenti segreti femminili…”
Leggendo i due passi tratti dall’Ulisse, possiamo vedere come James Joyce si limiti all’essenziale, facendo leva sulle emozioni del lettore.
In Sabbie mobili, siamo dinanzi ad una sequenza di “oggetti”, oggetti che scatenano un senso di desolazione, di inquietudine e angoscia – i “mefitici banchi di sabbia”, le “tanfate di fogna”, la bottiglia-sentinella… fino alle camicie “crocifisse”.
In Chiacchiere al tramonto, invece, lo scenario ci proietta nel clima religioso e romantico di una spiaggia al tramonto: “l’ultimo barlume del giorno”, “la sera estiva”, il “misterioso amplesso”, la “tranquilla chiesetta”.
Ciò che è subito evidente è come la scelta dei dettagli si riveli fondamentale al fine di ottenere una descrizione emotivamente efficace.
Il lettore non può fare a meno di rivivere mentalmente i colori, gli odori e i suoni delle due spiagge.
Il lettore è lì, come se prendesse parte in prima persona all’azione, ovvero come se stesse camminando proprio in quel preciso istante “nell’impasto grumoso della sabbia”, o contemplasse il trascolorare del cielo dall’alto della chiesetta.
Immediatezza e senso dello spazio nella descrizione
Rileggendo con attenzione e calma i due brani, ci accorgiamo che ambientare una storia vuol dire riconoscere un ruolo primario a quello che possiamo definire il “senso della spazialità”, ovvero della collocazione e della dimensione degli oggetti.
Proviamo allora a capire in che modo si sposta l’attenzione del narratore mentre egli descrive ciò che lo circonda.
In Sabbie mobili lo sguardo del protagonista passa dai suoi piedi alla bottiglia, quindi alla spiaggia con i cerchi delle botti e alla “parte di terra”.
Joyce ci dice che “ancor più lontano” ci sono delle porte scarabocchiate, e che su un ripiano più alto del litorale ci sono delle camicie stese ad asciugare.
Lo scrittore irlandese, a ben vedere, parte da un’immagine in primissimo piano per poi staccare e compiere una panoramica di centottanta gradi, come se al personaggio si spalancasse progressivamente lo sguardo via via che procede.
In Chiacchiere al tramonto, invece, l’autore utilizza una tecnica narrativa opposta: dal tramonto all’orizzonte, i raggi del sole ci portano sul mare, sul litorale e sulla chiesetta, dove ci attendono i personaggi del nuovo capitolo.
Qui, dunque, lo sguardo si abbassa a poco a poco e la prospettiva si restringe sempre più.
L’autore irlandese fa ricorso a questi schemi affinché il lettore sia sempre in grado di orientarsi, di comprendere dove si svolge, o si svolgerà, l’azione.
E non è un caso che l’Ulisse sia anche considerato uno straordinario affresco della città di Dublino.
La prima spiaggia ci viene presentata alla stregua di un posto desolato e malsano, dove i rischi – “l’impasto grumoso”, le “oscure reti scaltre” – sono sempre in agguato e dove si può intravedere una vittima: la bottiglia.
Abbiamo visto come, in questo caso, la tensione, l’anticipazione del dolore e della morte, sono sensazioni tangibili.
Ma vi è anche un altro aspetto, tutt’altro che secondario, che è quello che concerne la credibilità.
Una tale descrizione correrebbe il rischio di sconfinare nella banalità e nell’ovvietà se nei dettagli dell’ambiente (e in buona parte nello stile: da notare le frasi brevi, la loro articolazione “nervosa”) non si riflettesse la personalità del protagonista:
Stephen Dedalus è un intellettuale giovane e inquieto, e questa è la spiaggia vista dai suoi occhi.
Così facendo – filtrando lo scenario esterno – l’universo interiore del personaggio acquisisce sempre più consistenza, impreziosendosi di sfaccettature che, diversamente, sarebbe impossibile descrivere con efficacia e credibilità.
Unità ed efficacia dell’azione narrativa
Il dato particolare della seconda descrizione è che, a differenza della prima, è posta in apertura di capitolo.
Qui troviamo prima di tutto dei riferimenti topografici (funzionali, come visto, ad orientare il lettore), oltre a termini come “amorevolmente”, “faro sempiterno”, “amplesso”, che presagiscono chiaramente il tema dell’intero capitolo, ovvero l’amore, mantenendo, per giunta, una sorta di ambiguità fra sacro e profano.
Infine, l’uso ricorrente di dettagli – lo svolazzare di un pipistrello, la funzione religiosa che si svolge nella chiesa – è una scelta che permette all’azione di raggiungere un senso e un carattere di unicità che ne aumenta in maniera esponenziale l’efficacia.
Come accade per i personaggi e per tutti gli altri elementi della storia, l’azione trova le sue specifiche motivazioni nell’ambiente ed è esattamente in esso che si rispecchia.
Due brevi frammenti, quelli appena analizzati, che ci aiutano a comprendere non solo come ambientare una scena nel modo opportuno sia un aspetto tutt’altro che marginale e trascurabile quando si scrive una storia, ma che ci aiutano a rafforzare una consapevolezza fondamentale:
lo scenario entro cui si svolgono le vicende di una storia è parte attiva della narrazione stessa.
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